Novità e cosa c’è da sapere sul mondo dell’Osteopatia.

VERTIGINE: L’OSTEOPATA PUO’ ESSERE UTILE? IN ALCUNI CASI ASSOLUTAMENTE SI

Con il termine vertigine si intende un’erronea sensazione di movimento o del corpo rispetto all’ambiente che lo circonda (vertigine soggettiva) o dell’ambiente rispetto al soggetto (vertigine oggettiva).

E’ necessario prima, però, effettuare una distinzione clinica tra le varie forme di vertigine, che è poi il motivo che rende difficile l’approccio di tale problema:

  • Pseudovertigini
  • Le vertigini propriamente dette si distinguono in:

Periferiche (labirinto e nervo vestibolare)

Centrali

 

Entreremo più nello specifico della causa più comune di vertigine periferica, ovvero la vertigine parossistica posizionale benigna:

È dovuta al movimento di “otoliti” (congregazione di ossalato di calcio contenuti nell’endolinfa, comunemente chiamati i “sassolini dell’orecchio”) quasi sempre nel canale semicircolare posteriore dell’orecchio interno. Quando gli otoliti si depositano sulla cupola si parla di cupololitiasi…

La sintomatologia si presenta come crisi di vertigine rotatoria ricorrenti di breve durata che presentano questi aspetti:

  • Si verificano ai movimenti del capo o nell’assumere particolari posizioni.
  • Sede patologia: labirinto
  • Teoria ezio-patogenetica (causa): vertigine secondaria al distacco di otoliti.
  • Caratteristiche: vertigine in genere oggettiva, breve durata, molto intensa. Si accompagnano a

Nistagmo (movimento veloce degli occhi che può essere a sua volta verticale, orizzontale o rotatorio).

L’osteopata dovrà in primis indagare la storia tipica del paziente, ovvero “quando mi sono alzato dal letto questa mattina..”, “ogni volta che mi giro sul letto”…, le circostanze scatenanti comuni quali il coricarsi-alzarsi dal letto, girarsi a letto sul fianco, passare dalla clino-stasi alla posizione eretta, chinarsi con la testa ruotata…

Nella maggioranza dei casi la VPPB si manifesta con attacchi che durano diverse settimane e mostrano remissione spontanea con possibili recidive dopo mesi o anni.

E’ preferibile comunque, qualora non fosse già stato fatto prima della prima visita osteopatica, mandare il paziente da un medico specialista quale l’otorinolaringoiatra, che eventualmente possa indicare il neurologo come valida opzione qualora non si fosse presenti ad una problematica legata all’orecchio oppure l’osteopata stesso se il problema fosse più legato alla colonna cervicale.

L’osteopatia può aiutare? Certo che si, ma in presenza di distacco degli otoliti va prima effettuata una manovra specifica da parte dell’otorinolaringoiatra, e poi l’osteopata può eventualmente integrare con un bel lavoro di mobilizzazione articolare e di rilascio miofasciale (muscoli e fasce del collo, ma non solo). E per quanto riguarda le condizioni centrali, allora sarà il neurologo a prendere in carico il paziente.

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Malocclusione e postura: esiste una correlazione?

Associazione tra il sonno ed il dolore cronico spinale. Revisione sistematica degli ultimi 10 anni.

Il dolore spinale, costituito sia da dolore in zona cervicale (cervicalgia)

sia da dolore in zona lombare (lombalgia),

è un disturbo che in un numero considerevole di pazienti tende a diventare ricorrente o cronico.

La fisiopatologia alla base della variante cronica punta ad alterazioni a livello del sistema nervoso centrale in associazione anche a fattori psicologici.

 

Oltre ad un grande impatto socio-economico sia sul paziente che in generale sulla società, il carattere invalidante del dolore cronico spinale (CSP) influisce negativamente anche sui parametri della qualità della vita e del sonno. Disturbi nel dormire, che compromettono il ruolo protettivo multifunzionale del sonno sul piano fisiologico/omeostatico, sono frequentemente riportati da pazienti con dolore spinale fin oltre il 50 % percento dei casi.

 

Vi sono prove crescenti riguardo alla bidirezionalità tra la neurobiologia del dolore cronico ed i disturbi del sonno, come ad esempio nei pazienti affetti da fibromialgia, artrosi e lombalgia cronica (low back pain).

La ricerca sperimentale ha affermato che il sonno disturbato provoca aumento del dolore (iperalgesia) generalizzato e ridotta inibizione del dolore endogeno in soggetti sani. L’aumento del dolore può, a sua volta, interrompere ulteriormente il sonno, portando a un circolo vizioso che può essere ulteriormente esacerbato da farmaci antidolorifici che influiscono negativamente sul sonno. Tuttavia, l’insonnia è sempre più considerata primaria nell’eziologia del dolore cronico. Tale disturbo è definito come l’insoddisfazione del paziente per la qualità o la quantità del suo sonno, insieme ad altri sintomi che si manifestano durante il giorno o notte come affaticamento, disturbi dell’umore e disturbi cognitivi nel corso di almeno tre notti a settimana per un periodo superiore a tre mesi.

Negli ultimi dieci anni, un notevole sforzo di ricerca si è concentrato sulla relazione tra sonno e dolore cronico: una precedente revisione sistematica del 2011 ha mostrato prove considerevoli di come la lombalgia cronica sia correlata alla riduzione di sonno, con una netta relazione tra un aumento del dolore ed un aumento dei disturbi del sonno stesso.

La ricerca sull’associazione tra sonno ed il dolore spinale si sta evolvendo rapidamente e la letteratura in questo campo è notevolmente aumentata nell’ultimo decennio.

Pertanto, l’obiettivo dell’attuale revisione sistematica è di fornire un aggiornamento della revisione esistente di Kelly et al. (2011), introducendo l’analisi della cervicalgia e non solo della lombalgia: studi ammissibili sono stati ottenuti cercando quattro database (PubMed, Embase, Web of Science e PsycARTICLES).

Gli articoli sono stati ritenuti rilevanti se includevano una popolazione umana adulta e indagavano sulla possibile associazione tra parametri del sonno e dolore spinale cronico. Sono stati inclusi solo studi pubblicati dopo gennaio 2009, poiché questa revisione mirava a fornire un aggiornamento di una precedente panoramica della letteratura su questo argomento.

La qualità degli studi è stata valutata in base al rischio di bias e al livello di evidenza. Un totale di ventisette studi (6 studi di coorte, 5 caso-controllo e 16 studi trasversali) sono stati inclusi in questa revisione sistematica.

Tale revisione indica che sono presenti prove da deboli a moderate per un’associazione tra sonno e dolore spinale. Inoltre, la riduzione del sonno sembra essere maggiormente in relazione allo sviluppo di dolore cronico spinale piuttosto che viceversa.  Affrontare quindi i problemi di sonno segnalati dai pazienti con mal di schiena cronico è fondamentale e necessario nella  gestione del dolore al fine di fornire un risultato ottimale del trattamento in questa popolazione.

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REFERENZE

Van Looveren, E., Bilterys, T., Munneke, W., Cagnie, B., Ickmans, K., Mairesse, O., Malfliet, A., De Baets, L., Nijs, J., Goubert, D., Danneels, L., Moens, M. and Meeus, M., 2021. The Association between Sleep and Chronic Spinal Pain: A Systematic Review from the Last Decade. Journal of Clinical Medicine, 10(17), p.3836.

Uno studio sui pazienti con dolore femoro-rotuleo

La sindrome femoro-rotulea (SFR) è un disturbo clinico comune che colpisce adulti, adolescenti ed individui particolarmente attivi fisicamente come ad esempio i corridori e consiste in un particolare quadro patologico che coinvolge l’articolazione tra la parte terminale anteriore del femore e la parte posteriore della rotula o patella. Generalmente i pazienti che sono affetti dalla sindrome femoro rotulea accusano dolore nella zona antero-laterale del ginocchio, in maniera minore nella parte antero-interna.

Effetto immediato della manipolazione lombopelvica sul dolore al ginocchio, sul senso di posizione del ginocchio e sull’equilibrio in pazienti con dolore femoro-rotuleo: uno studio randomizzato controllato

 

Tutto ciò è dovuto ad un’alterazione nel movimento della rotula nel suo “alloggiamento naturale”, il condilo femorale. Normalmente la rotula scorre sulla faccia anteriore del femore, ma quando questo non avviene in maniera fluida allora la rotula stessa tende a “sfregare” contro il femore portando nell’immediato ad una reazione infiammatoria, e nei casi più gravi, all’instaurarsi di un vero quadro di artrosi femore rotulea.

La prevalenza è stimata al 22,7% nella popolazione generale e al 29,9% negli adolescenti. La sindrome femoro rotulea ha una prognosi infausta a lungo termine e di solito porta ad alti livelli di disabilità.

In letteratura troviamo studi che riportano come conseguenza di ciò una ridotta attività del muscolo quadricipite. Pertanto, migliorare l’attività del quadricipite è un obiettivo importante nella gestione della SFR, e vi sono forti prove a favore di esercizi che vadano a rinforzare il muscolo quadricipite nei programmi di riabilitazione.

Negli ultimi anni alcuni autori hanno proposto altri fattori che possono essere correlati alla SFR, come un’anormale biomeccanica ed alterato controllo neuromotorio del complesso lombo-pelvico-anca  (Brindle et al., 2003; Cookson, 2003; Dolak et al., 2011; Souza et al, 2009). Autori quali Shiraz et al. hanno riscontrato nei pazienti affetti da SFR un ritardo nell’attivazione del medio gluteo a seguito di una stimolazione laterale del bacino, con una prima attivazione invece dei muscoli trasverso dell’addome, obliqui interni ed erettori della colonna vertebrale nella SFR; ricordiamo che i muscoli medio e piccolo gluteo sono fondamentali per la stabilità laterale del bacino stesso.

Inoltre Biabani et al. hanno riscontrato un ritardo nell’attivazione muscolare del core durante esercizi quali il salire le scale. Pertanto, nei nuovi programmi di riabilitazione di SFR, l’allenamento muscolare del core è diventato complementare agli esercizi specifici per le ginocchia, questo per migliorare il controllo neuromotorio del tronco con effetti biomeccanici positivi poi sull’articolazione del ginocchio stesso.

I pazienti con SFR hanno una compromissione sia della propriocezione che del senso di equilibrio del ginocchio e come conseguenza di ciò possono avere un senso di posizione articolare meno accurato rispetto agli individui sani.

 

I risultati di una revisione sistematica degli studi scientifici presenti in letteratura hanno mostrato come l’allenamento propriocettivo possa ridurre il rischio di lesioni al ginocchio negli atleti (Thacker et al., 2003).

Citkar et al. hanno mostrato come l’equilibrio statico in piedi sia compromesso nella SFR rispetto alle persone sane (Citaker et al., 2011).

Considerando quindi  l’importanza sia del quadricipite che del core ed il loro rapporto con la SFR, alcuni autori hanno cercato di migliorare l’attività del quadricipite con il crack vertebrale a livello lombo-sacrale e pelvico (manipolazione lombopelvica – LPM) (Iverson et al., 2008; Motealleh et al., 2016; Suter et al., 1999). Essi hanno riferito come la manipolazione lombopelvica o spinale abbia portato ad un miglioramento delle prestazioni degli arti inferiori, insieme ad un aumento dell’attività sia del quadricipite che del medio gluteo in pazienti con SFR (Suter et al 1999, 2000; Miller et al., 2013; Motealleh et al., 2016).

Manipolazione lombare in SIDE ROLL. Osteopata Milano&Segrate Marc Patti

Visti i risultati appena elencati presenti in letteratura, il seguente studio ha ipotizzato che nei pazienti con SFR la manipolazione lombopelvica potrebbe migliorare i risultati stessi sopra citati.

In questo studio il dolore al ginocchio è diminuito immediatamente dopo la manipolazione, mentre non è stato osservato alcun cambiamento significativo nel gruppo placebo.

Il dolore al ginocchio diminuito dopo LPM potrebbe essere spiegato dall’attivazione delle vie inibitorie discendenti del dolore che sono in grado di modulare selettivamente i segnali nocicettivi delle fibre C (fibre dolorifiche) ed aumentare la soglia del dolore (Skyba et al., 2003); la diminuzione del dolore post manipolazione è mediata dal rilascio di neurotrasmettitori quali la serotonina e la noradrenalina a livello proprio di queste vie discendenti.

La manipolazione lombopelvica, e qui entra in gioco l’osteopata, può quindi avere un ruolo positivo nella riabilitazione dei pazienti con SFR. Ricapitolando, questo tipo di intervento può ridurre il dolore al ginocchio, migliorarne l’equilibrio e permettere un’attivazione corretta dei muscoli stabilizzanti il bacino.

Sono necessari ulteriori studi con follow-up per comprendere il vantaggio a lungo termine della manipolazione su soggetti affetti da sindrome femoro rotulea.

 


Motealleh, A., Barzegar, A. and Abbasi, L., 2020. The immediate effect of lumbopelvic manipulation on knee pain, knee position sense, and balance in patients with patellofemoral pain: A randomized controlled trial. Journal of Bodywork and Movement Therapies, 24(3), pp.71-77.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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REFLUSSO GASTROESOFAGEO ED OSTEOPATIA

La malattia da reflusso gastro esofageo (RGE o in inglese GERD: gastroesophageal reflux disease) è causata da un reflusso dei contenuti acidi dello stomaco (succhi gastrici) nell’esofago o nella cavità orale.

Vi è una condizione fisiologica in cui il reflusso non provoca sintomi, danni esofagei o complicanze. Altresì possono essere presenti sintomi che vanno ad incidere negativamente sul benessere dell’individuo.

A volte sono presenti bruciore di stomaco, rigurgito ed eventualmente dolore toracico senza però un’evidente lesione della parete dell’esofago.

Possono inoltre essere presenti dei sintomi al di fuori della sfera esofagea quali tosse, erosioni dentali, faringite…

Un ruolo fondamentale nella gestione del GERD da parte dell’osteopata ce l’ha il muscolo diaframma che è importantissimo per un discorso di respirazione ma anche posturale; inoltre tale muscolo divide la cavita toracica da quella addominale ed un’alterazione nella sua mobilità può portare ad un non corretto bilanciamento pressorio tra le due cavità appena citate (è utile ricordare che il torace ha una pressione negativa utile a far arrivare l’aria nei polmoni, mentre la cavità addominale ha una pressione positiva). Quando è presente questo sbilanciamento, con un aumento della pressione negativa toracica, ecco che il cardias (sfintere presente tra esofago e  stomaco) può essere risucchiato verso l’alto e di conseguenza perdere la sua funzione di chiusura con successivo passaggio del contenuto dello stomaco nell’esofago.

Il diaframma toracico, sempre da un punto di vista osteopatico, va sicuramente messo in relazione con il diaframma pelvico (pavimento pelvico) in quanto un sincronismo di queste due strutture permette una buona mobilità dei visceri in generale ed una riduzione della stasi dei liquidi con conseguente riduzione dei fattori proinfiammatori locali.

L’osteopatia può aiutare i pazienti affetti da reflusso gastroesofageo, a meno che non vi sia una franca incontinenza del cardias.

Normalmente il paziente, prima di presentarsi dall’osteopata, è stato dal medico curante soprattutto per il bruciore retrosternale e magari dall’otorinolaringoiatra per mal di gola, raucedine, tosse…

Nello specifico l’osteopata può effettuare delle tecniche, viscerali e non, per cercare di:

  • ridurre la tensione della muscolatura a livello della giunzione gastroesofagea
  • ridurre la tensione dei pilastri del muscolo diaframma quali muscoli psoas e quadrato dei lombi
  • ridurre la tensione degli sfinteri viscerali (piloro, sfintere di oddi, flessura duodeno-diguinale, valvola ileocecale)
  • ribilanciare i tre diaframmi (diaframma toracico, diaframma pelvico, stretto toracico superiore) oltre ad effettuare tecniche di rilascio miofasciale sul diaframma toracico
  • ridurre la tensione toracica
  • ribilanciare le tensioni fasciali cervicali

E’ utile ricordare che, oltre all’osteopatia, è utilissimo se non fondamentale far effettuare degli esercizi di respirazione al paziente.

In generale la letteratura scientifica è a favore dell’approccio osteopatico nel GERD, come è possibile notare dagli studi di Eguaras et al. 2019 e di Diniz et al, 2014 riportati qui sotto.

Referenze

Eguaras, N., Rodríguez-López, E. S., Lopez-Dicastillo, O., Franco-Sierra, M. Á., Ricard, F., & Oliva-Pascual-Vaca, Á. (2019). Effects of Osteopathic Visceral Treatment in Patients with Gastroesophageal Reflux: A Randomized Controlled Trial. Journal of Clinical Medicine. https://doi.org/10.3390/jcm8101738

Rios Diniz, L., Nesi, J., Christina Curi, A., & Martins, W. (2014). Qualitative evaluation of osteopathic manipulative therapy in a patient with gastroesophageal reflux disease: A brief report. Journal of the American Osteopathic Association. https://doi.org/10.7556/jaoa.2014.036

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Mal di schiena e riposo a letto: è veramente utile?

Una delle domande che i pazienti mi pongono frequentemente è se il riposo fa bene al mal di schiena e se l’osteopatia può essere un rimedio.

Negli ultimi anni c’è stato un incremento degli studi che dimostrano che il riposo a letto non è benefico per le persone con lombalgia. Tuttavia, le revisioni sistematiche (#systematicreview) esistenti non sono chiare riguardo agli effetti del riposo a letto per i diversi tipi di lombalgia.

La revisione sistematica presa in considerazione in questo articolo ha incluso tutti gli studi randomizzati disponibili fino a marzo 2003: esistono prove di alta qualità che le persone con lombalgia acuta a cui si consiglia di riposare a letto presentano in seguito un po’ più di dolore ed un recupero funzionale leggermente inferiore rispetto a quelli a cui è stato consigliato di rimanere attivi.

Per i pazienti con sciatica, invece, vi è poca o nessuna differenza nel dolore  o nello stato funzionale tra il riposo a letto ed il rimanere attivi.

E’ interessante notare come in generale la medicina tradizionale consigli il riposo, andando quindi contro alle ultime evidenze scientifiche che dagli anni ’90 ormai consigliano proprio il contrario.

Ma quindi un paziente con mal di schiena (#lowbackpain) cosa deve fare? Sicuramente muoversi (in presenza di una sciatica va valutata singolarmente la situazione) ed effettuare delle manipolazioni (osteopatia strutturale – osteopatia viscerale) dall’osteopata; è fondamentale quindi associare alla mobilità attiva anche una mobilità passiva indotta dall’osteopata.

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Osteoporosi ed osteopatia

L’osteoporosi è una condizione acquisita caratterizzata da riduzione della massa ossea che comporta fragilità dell’osso e tendenza alle fratture

 

La caratteristica distintiva è la presenza di tessuto osseo istologicamente normale, ma quantitativamente diminuito.

 

 

La perdita di osso può essere:

-limitata a talune ossa o regioni, come nell’osteoporosi di un arto da disuso

-generalizzata, interessando l’intero scheletro:

  • primaria
  • secondaria ad un gran numero di condizioni, tra cui malattie metaboliche, deficit di vitamine ed esposizione a farmaci quali ad esempio il cortisone.

La causa è nella perdita dell’equilibrio fra osteoblasti e osteoclasti. La prima categoria di cellule contribuisce alla formazione ossea, la seconda contribuisce al riassorbimento osseo.

La massa ossea raggiunge il picco nel giovane adulto; sia negli uomini che nelle donne, a partire dalla terza o quarta decade di vita, il riassorbimento osseo inizia a superare la deposizione di nuovo osso.

La perdita di osso, in media dello 0,5% l’anno, è una conseguenza apparentemente inevitabile dell’invecchiamento ed è più evidente nelle aree contenenti abbondante osso trabecolare: essenzialmente rachide e collo del femore.

L’entità della perdita di osso è accelerata dopo la menopausa; la carenza di estrogeni svolge il ruolo principale in questo fenomeno mediante:

-aumento del riassorbimento

-aumento della secrezione di citochine infiammatorie da parte di monociti e cellule del midollo osseo, che stimolano il reclutamento degli osteoclasti.

Fattori di rischio:

-scarso apporto di calcio

-disordini alimentari (anoressia/bulimia)

-sedentarietà

-uso di corticosteroidi

-sesso femminile

-ormoni tiroidei (ipertiroidismo)

 

 

Osteoporosi ed osteopatia

Ma quindi è possibile farsi trattare con l’osteoporosi? Assolutamente si in quanto l’osteopata ha a disposizione un bagaglio importante di tecniche da poter utilizzare. Normalmente si utilizzano tecniche non troppo invasive, cercando di evitare le tecniche ad alta velocità e bassa ampiezza (HVLA) ed il tutto viene svolto in totale sicurezza.

Da tenere presente inoltre che l’osteoporosi non crea dolori, a meno che non si sia instaurata una frattura come conseguenza di tale patologia. I pazienti inoltre tendono a confondere l’osteoporosi con l’artrosi, condizione quest’ultima che può creare sì dolore instaurando un danno alla cartilagine articolare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Osteopata scocchia le ossa

PERCHE’ L’OSTEOPATA SCROCCHIA LE OSSA?

Nervo accavallato: sfatiamo il mito con l’osteopata!

Chi di noi non ha mai esclamato, in seguito ad un dolore intenso e di rapida insorgenza, “sarà un nervo accavallato”?

Spesso, infatti, quando un paziente si reca nel mio studio, la prima cosa che mi dice è “sono venuto da lei perché ho un nervo accavallato”.

Ma che cosa intende realmente il paziente con questa espressione?

Che cos’è il nervo accavallato?

Nervo accavallato è sicuramente un’espressione un po’ pittoresca che viene usata in gergo comune per indicare un dolore intenso, spesso localizzato e soprattutto pungente che da l’idea che si sia “accavallato” qualcosa.

Ma esiste veramente il nervo accavallato?

In realtà no in quanto i nervi non si accavallano, al massimo possono essere compressi e dare una sintomatologia classica neurologica quale formicolio, parestesie e perdita di forza muscolare.

La struttura che il paziente invece scambia per il nervo accavallato nella maggioranza dei casi non è altro che un muscolo con un’aumentata tensione o una contrattura muscolare.

In casi minori possono mimare un nervo accavallato una sindrome da faccette articolari in cui vi è un “blocco” dell’articolazione con conseguente limitazione della mobilità articolare, oppure uno sprain (tensione) legamentoso/capsulare piuttosto che una problematica tendinea.

Se ci concentriamo sul muscolo i punti dolorosi ad esso associati possono essere di due tipi:

  • Tender point in cui il dolore rimane localizzato nella zona in cui l’operatore preme
  • Trigger point in cui il dolore irradia a distanza in zone lontane dal punto in cui l’operatore preme

L’osteopatia è utile per un nervo accavallato?

Assolutamente si in quanto fanno parte del bagaglio dell’osteopata sia tecniche di inibizione muscolare per andare a rilasciare direttamente  la muscolatura e “sciogliere” quindi il muscolo stesso che mobilizzazioni articolari per far si che il muscolo tenda ad andare meno in sofferenza. In realtà poi il trattamento osteopatico è un qualcosa di molto più complesso che può comprendere anche la manipolazione viscerale ed i suoi circuiti viscero-somatici o somato-viscerali, piuttosto che delle tecniche di release (rilascio) miofasciale od eventualmente craniali.

 

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L’attività fisica è fondamentale per il benessere; non basta farsi manipolare per restare in forma.

La manipolazione è sicuramente fondamentale, ma essa è passiva e va quindi associata ad un qualcosa di attivo quale il movimento.

Inoltre lo sport permette un rilascio in circolo di particolari molecole chiamate endorfine. Le endorfine fanno parte degli oppiodi endogeni e vanno a concentrarsi soprattutto nelle zone deputate alla percezione del dolore con una conseguente sensazione di euforia e di benessere che va di pari passo con la riduzione dell’ansia.

Praticare sport fa bene alla salute!

Andare dall’osteopata fa bene alla salute!

Fare le due cose insieme fa molto bene alla salute!

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