Novità e cosa c’è da sapere sul mondo dell’Osteopatia.

Sedentarietà: può l’osteopatia essere utile?

Viviamo in un determinato periodo storico in cui la sedentarietà fa parte della vita di quasi tutte le persone: le esigenze lavorative ci impongono di restare a lungo seduti in ufficio, ma questa attitudine può far insorgere diversi disturbi.

L’osteopatia può aiutare a combattere i sintomi del lavoro sedentario?

 

Osteopatia sedentarietà conseguenze

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Abbiamo già parlato di cosa può fare un bravo osteopata per la sindrome da lavoro.

Oltre a specifici trattamenti, va educato il paziente soprattutto nella sua postura lavorativa.

Che cosa comporta un classico lavoro d’ufficio:

  • colonna atteggiata in flessione
  • allungamento della muscolatura posteriore (es. trapezio-erettori della colonna)
  • allungamento dei legamenti posteriori della colonna
  • aumento della pressione discale posteriore
  • accorciamento di muscoli quali ileopsoas e hamstring

 

Ogni caso poi richiederà, oltre a quanto appena descritto, un approccio specifico. Per questo motivo è importante effettuare una visita dall’osteopata per capire cosa è meglio per il nostro corpo.

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Low back pain (Dolore alla parte bassa della schiena)

Mal di schiena

Tratto da DocMikeEvans



La lombalgia è una patologia molto comune in tutto il mondo e una delle principali cause di disabilità  che influisce sulle prestazioni lavorative e sul benessere generale. La lombalgia può essere acuta, sub-acuta o cronica. Sebbene siano stati identificati diversi fattori di rischio (compresi fattore occupazionale, depressione, obesità, altezza, età…), l’eziologia rimane oscura e la diagnosi difficile da effettuare.

La lombalgia colpisce persone di tutte le età, dai bambini agli anziani, ed è molto frequentemente motivo di consultazione medica. Lo studio Global Burden of Disease del 2010 ha stimato che la lombalgia è tra le prime 10 malattie che rappresentano il più alto numero di DALY (Disability-adjusted life year: misura della gravità globale di una patologia)in tutto il mondo.

La lombalgia non specifica (comune) è stimata tra il 60% e il 70% nei paesi industrializzati. Il tasso di prevalenza per bambini e adolescenti è inferiore a quello osservato negli adulti ed il picco riguarda un range di età compresa tra 35 e i 55 anni.

La lombalgia è la principale causa di assenza dal lavoro in gran parte del mondo, imponendo un alto onere economico a individui, famiglie, comunità, industria e governi.

Negli Stati Uniti la lombalgia è stata identificata come la causa più comune di disabilità in giovani adulti, con oltre 100 milioni di giornate lavorative perse ogni anno ed un costo pari a 100-200 miliardi di dollari l’anno (di cui due terzi è dovuto alla perdita di salari e alla minore produttività).

Attualmente la lombalgia viene trattata principalmente con farmaci analgesici ed antiinfiammatori, senza però cercar di capire bene la causa scatenante.

I trattamenti alternativi includono l’osteopatia, la terapia fisica e la riabilitazione, mentre la chirurgia del disco rimane l’ultima opzione quando il trattamento conservativo non ha dato benefici.

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Tendinite ed osteopatia

Mal di testa cervicogenico, dolore al collo ed osteopatia

Il mal di testa cervicogenico (CGH) è caratterizzato da un dolore sordo, non pulsante che si irradia dal collo alla parte posteriore della testa. Il dolore può diffondersi lungo il cuoio capelluto e colpire la fronte, la tempia e l’area intorno all’occhio e/o all’orecchio.

CGH è un mal di testa secondario che si verifica quando il dolore parte dal collo e si ripercuote nella testa. Cause comuni di CGH includono lesioni o traumi alla colonna cervicale, o condizioni sistemiche come l’artrite reumatoide, cancro o infezioni.

Dolore al collo associato a CGH

Il dolore CGH inizia nel collo ed è comunemente sentito come un dolore costante e sordo che può essere aggravato da certe attività o posizioni. Mentre il CGH è in genere un dolore unilaterale, a volte è però possibile che entrambi i lati del collo siano dolorosi a seconda della gravità. Nel lieve CGH, il dolore al collo è di solito presente solo sul lato interessato; ma nei casi più gravi entrambi i lati del collo possono essere dolorosi. Tuttavia, il dolore sul lato affetto è più dominante nei casi gravi. Il CGH può anche essere accompagnato da rigidità del collo e ridotta ampiezza di movimento.

Può capitare di avere mal di testa non associato a dolore al collo anche in casi di CGH: in questi casi la struttura della cervicale complice del mal di testa risulta essere meno rigida alla palpazione. Però movimenti della testa anomali o l’applicazione di una pressione sulla zona interessata possono innescare il CGH.

Altri sintomi di CGH

CGH può essere intermittente o presentarsi come un mal di testa continuo. Oltre al dolore al collo, altri sintomi comuni di CGH possono includere:

• Dolore che si irradia ad altre aree: il dolore può estendersi fino alla fronte, alla tempia e all’area intorno all’occhio e/o all’orecchio.

• Dolore alle spalle e alle braccia: anche il dolore alla spalla e/o al braccio del lato affetto è comune.

• Visione offuscata: in alcuni casi l’occhio del lato interessato può avere una visione offuscata e presentare pesantezza.

Molti altri sintomi di CGH sono possibili ma meno comuni, come nausea, sensibilità alla luce o al suono e vertigini. CGH può iniziare come un mal di testa intermittente e progredire nel tempo fino a diventare un mal di testa cronico continuo. La gravità e la durata della cefalea CGH varia a seconda di ogni episodio.

Confronto tra CGH e altri mal di testa

Sebbene il CGH sia un disturbo distinto, alcuni sintomi possono simulare l’emicrania o il mal di testa da tensione.

• Come il CGH, le emicranie si verificano generalmente su un lato della testa; tuttavia il dolore CGH non è  pulsante e colpisce praticamente sempre lo stesso lato.

• In rari casi di CGH si possono verificare sintomi di emicrania come nausea e sensibilità alla luce e ai suoni.

• Come nel CGH, il dolore emicranico peggiora con l’attività continua.

• CGH può verificarsi contemporaneamente con emicrania o cefalea di tipo tensivo, o addirittura innescarli.

Alcune occupazioni possono aumentare il rischio per CGH, come parrucchieri, carpentieri, odontoiatri e  conducenti di linea a causa della postura della testa durante il lavoro.

Quando rivolgersi al medico in caso di CGH

È necessario un immediato intervento medico in CGH quando si sospettano gravi patologie sottostanti quali infezioni, tumori o complicazioni vascolari alla testa o al collo.

Quando rivolgersi all’osteopata in caso di CGH

L’osteopata risulta essere la figura di riferimento per CGH non secondario a patologie importanti. Una volta diagnosticata, CGH può essere ben gestita con un trattamento osteopatico che comprenda tecniche strutturali di mobilizzazione del rachide cervicale, lavoro sui tessuti molli cervicali, integrazione con manipolazioni dorsali ed eventualmente viscerali quando si sospetta l’interessamento di un viscere (spesso viene implicato il nervo vago vista la moltitudine di visceri innervati da tale struttura e vista l’origine craniale del nervo stesso ed il suo decorso molto vicino alla cervicale alta), oltre a tecniche craniali di decompressione. Eventualmente in associazione a farmaci prescritti dal medico. E’ importante educare il paziente al movimento e allo streching.

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La sindrome da lavoro: cosa può fare l’osteopata

Qual è uno dei più grandi problemi che affligge l’uomo del XX e XXI secolo? La sedentarietà!

A cosa è dovuta la sedentarietà? Principalmente all’aumento del lavoro in ufficio ed alla riduzione dell’attività sportiva, quest’ultima ancor più accentuata negli ultimi 10-15 anni con l’avvento di tablet e smartphone.

Una conseguenza della sedentarietà può essere la cosiddetta “sindrome da ufficio”.

La sindrome da ufficio è causata da abitudini malsane e da un sovra utilizzo di alcuni muscoli, come ad esempio gli erettori della colonna, in seguito a posizioni mantenute per un periodo prolungato senza un movimento sufficiente, come può essere la posizione seduta alla scrivania davanti al pc per le classiche 8 ore di ufficio.

Le conseguenze di ciò possono essere: mal di testa, dolore alle spalle e alla schiena, dita e braccia intorpidite, vista debole, occhi asciutti.

L’ambiente di lavoro inadeguato può quindi influire sui sintomi; tra le cause più comuni ritroviamo l’altezza inadeguata della scrivania, la posizione del computer e/o della tastiera, il che porta ad una posizione di seduta innaturale che provoca una contrazione ed eventualmente dolore più o meno costante  a livello dei muscoli tonici preposti al mantenimento della postura. Inoltre, un altro elemento molto dibattuto in questo periodo storico, risulta essere lo stress che può anche peggiorare i sintomi sopra descritti.

Ma quindi si può fare prevenzione?

Sicuramente si, partendo proprio dall’ambiente lavorativo sia per quanto concerne la postazione lavorativa che la gestione del proprio corpo; poi si può prendere in considerazione l’idea di andare da un osteopata.

In primis sarebbe utile cercare di:

  • creare un ambiente di lavoro ergonomico
  • cambiare la propria posizione ogni 1-2 ore per non mandare in sovraccarico un determinato gruppo muscolare
  • fare streching al lavoro
  • cercare di gestire lo stress
  • riposare sufficientemente
  • fare sport

 

E l’osteopata cosa può fare?

Prima ancora di effettuare un trattamento, deve convincere il paziente ad analizzare i punti sopra elencati in modo tale da poter far capire al paziente stesso dove sta sbagliando; quindi si può passare alla parte manipolativa.

Normalmente il trattamento di una sindrome da lavoro comprende un lavoro in allungamento della catena anteriore che tende a portare in chiusura il paziente, oltre ad una mobilizzazione generale del rachide e ad un trattamento dei tessuti molli implicati nella sindrome algica. Un altro aspetto fondamentale risulta essere il trattamento dei diaframmi e nello specifico il diaframma toracico, per migliorare l’ossigenazione dei tessuti. Ogni caso poi richiederà, oltre a quanto appena descritto, un approccio specifico in aree diverse, come magari la zona viscerale piuttosto che craniale.

Ma il punto principale rimane far prendere coscienza al paziente che se si gestisce in maniera corretta durante le 8 ore di lavoro, più magari dello sport, il grosso del lavoro viene da sé.

 

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Artrosi e Osteopatia

Con il termine artrosi si intende una condizione patologica in cui la cartilagine articolare che ricopre le estremità delle ossa nelle articolazioni gradualmente sparisce.

L’osteoartrosi (OA), la più comune di tutte le patologie articolari, inizia in modo asintomatico nel 2o e 3o decennio ed è estremamente diffusa all’età di 70 anni. La quasi totalità dei soggetti intorno ai 40 anni, mostra qualche alterazione patologica delle articolazioni sottoposte al carico, benché una parte relativamente piccola di essi presenti una sintomatologia. Vengono colpiti entrambi i sessi con la stessa frequenza.

CLASSIFICAZIONE

L’OA viene classificata in:

-primaria

-secondaria ad alcuni fattori causali noti

FATTORI DI RISCHIO

Costituiscono fattori predisponenti l’obesità, il sesso femminile, traumi articolari, stress continuo, umidità.

ZONE PIU’ SOGGETTE AD ARTROSI

L’OA primaria generalizzata coinvolge le articolazioni interfalangee distali e prossimali (provocando la formazione dei noduli di Heberden e di Bouchard),

la prima articolazione carpo-metacarpale, i dischi intervertebrali e le vertebre della colonna soprattutto nei tratti cervicale e lombare, la prima articolazione metatarso-falangea, l’anca, il ginocchio. 

L’OA secondaria sembra risultare da condizioni che cambiano il microambiente dei condrociti (cellule che producono cartilagine).

COSA PUO’ FARE L’OSTEOPATIA

In base alla sua gravità, l’artrosi viene distinta in 3 stadi: specialmente nei primi due stadi, i pazienti possono trarre giovamento dai trattamenti osteopatici.

Essendo però l’artrosi una patologia degenerativa, l’osteopatia non può “curarla”, nel senso che è un processo che non si può fermare.

E’ però possibile, con delle manipolazioni mirate, andare a ridare mobilità alle articolazioni colpite; questo permette una riduzione della dolorabilità articolare e probabilmente fa si che possa rallentare la degenerazione articolare. 

Un aumentato range di mobilità articolare porta all’interno della stessa un maggior ricambio del liquido intra-articolare (liquido sinoviale), con conseguente giovamento dello stato delle cartilagini.

 

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Infiammazione: Cosa può fare l’Osteopata

L’infiammazione è un meccanismo di difesa non specifico che si attua in seguito al danno provocato da agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo è l’eliminazione della causa del danno stesso.

Non è  determinato soltanto dall’agente lesivo ma anche dalla liberazione di sostanze endogene: i mediatori chimici.

Come agisce l’osteopata in caso di Infiammazione?

Ciò che caratterizza il processo infiammatorio  negli organismi superiori è la reazione dei vasi sanguigni (soprattutto vasodilatazione e aumento della permeabilità), che porta all’accumulo di liquidi e globuli bianchi nei tessuti extravascolari.

L’infiammazione serve  a distruggere e confinare l’agente lesivo, ma allo stesso tempo mette in moto una serie di meccanismi che favoriscono la riparazione o la sostituzione del tessuto danneggiato.

Sebbene sia essenzialmente protettiva, alcuni aspetti dell’infiammazione possono essere dannosi.

 

CLASSIFICAZIONE

L’infiammazione viene classificata, con un criterio temporale, in:

  • infiammazione acuta (ha una durata di minuti, ore, pochi giorni)
  • infiammazione cronica (ha una durata di giorni o mesi)

STIMOLI

Le reazioni infiammatorie acute possono essere innescate da numerosi stimoli:

  • Le infezioni  (batteriche, virali, fungine, parassitarie)
  • I traumi (contusivi e penetranti) e vari agenti fisici e chimici (ad es. insulti termici, come ustioni o congelamento; irradiazione; tossicità da sostanze chimiche ambientali) danneggiano le cellule dell’ospite e provocano reazioni infiammatorie
  • La necrosi tissutale (da qualunque causa)
  • I corpi estranei (schegge, sporcizia, suture, depositi cristallini)
  • Le reazioni immunitarie  (reazioni da ipersensibilità) contro sostanze ambientali o contro tessuti propri

 

SEGNI E SINTOMI

  • rubor: arrossamento dovuto all’aumento di sangue nell’area
  • tumor: rigonfiamento dovuto all’edema
  • calor: aumento della temperatura in seguito all’iperemia e ad un aumento del metabolismo cellulare
  • dolor: dolore per alterazioni biochimiche locali
  • functio laesa: inibizione della funzionalità dell’area colpita (specie se é un’articolazione) a causa del dolore e degli squilibri indotti dai meccanismi facilitatori dell’infiammazione (es. edema) sull’integrità delle strutture infiammate

FASI DELL’INFIAMMAZIONE ACUTA

1)           Vasocostrizione

2)           Vasodilatazione

3)           Aumento della permeabilità vascolare

4)           Migrazione dei leucociti

5)           Fagocitosi

6)           Fenomeni produttivi e riparativi

 

EFFETTI SISTEMICI DELL’INFIAMMAZIONE

Chiunque abbia sofferto per una malattia virale di una certa entità (come l’influenza) ha provato gli effetti sistemici dell’infiammazione, chiamati nell’insieme reazioni di fase acuta.

La risposta di fase acuta è costituita da numerosi cambiamenti clinici e  patologici:

  • febbre (prodotta come risposta a sostanze chiamate pirogeni che agiscono e stimolano la formazione di prostaglandine
  • livelli plasmatici di proteine di fase acuta (sono sintetizzate principalmente nel fegato e nelle fasi acute il loro livello può aumentare di centinaia di volte. La più nota è la PCR.)
  • leucocitosi (caratteristica comune delle reazioni infiammatorie)
  • Aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, sensazione di freddo (legata alla reimpostazione della temperatura corporea da parte dell’ipotalamo), anoressia, sonnolenza e malessere.
  • Nelle infezioni batteriche gravi (sepsi), la grande quantità di prodotti batterici nel sangue o nei tessuti extravascolari stimola la produzione di numerose citochine.

 

INFIAMMAZIONE ED OSTEOPATIA

L’osteopata, soprattutto in casi di infiammazione conseguente a traumi, può migliorare il drenaggio locale e quindi andare a ridurre la concentrazione in loco di tutti quei mediatori chimici che portano poi a gonfiore e dolore.

L’esempio più classico è quello di una distorsione di caviglia con dolore e gonfiore nella parte esterna:

L’osteopata in questo caso andrà a manipolare i tessuti molli della caviglia al di sotto del malleolo esterno (capsula e legamenti), oltre a ripristinare la corretta biomeccanica delle ossa del piede. Il tutto dando un occhio anche al ginocchio, visti i collegamenti tra le due articolazioni , ed eventualmente anche anca e bacino.

 

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Capsulite Adesiva (Spalla congelata)

La capsulite adesiva della spalla, detta anche  spalla congelata o gelata, è una patologia infiammatoria che comporta una perdita importante di mobilità della spalla stessa. Normalmente i sintomi si presentano in maniera lieve per poi avere un esito ingravescente.

Cosa può fare l’Osteopata?

La capsulite adesiva è una condizione molto dolorosa e quindi invalidante, e che soprattutto presenta dei tempi molto lunghi di recupero, da un minimo di 6 mesi ad 1-2 anni.  Il dolore costante, che tende a peggiorare nelle ore notturne, può rendere impossibili anche i gesti più semplici e può portare quindi il paziente ad avere difficoltà nel sonno.

E’ sufficiente effettuare un buon esame obiettivo per capire di essere in presenza di spalla congelatta. Se sono presenti esami strumentai si possono eventualmente escludere altre condizioni patologiche.

Trattamento osteopatico

Il trattamento osteopatico può aiutare molto i pazienti affetti da capsulite adesiva, in quanto propone delle tecniche mirate di sblocco da effettuarsi controbarriera (quali tecniche articolatorie e/o Mitchell), oppure delle tecniche in facilitazione (tecniche fasciali), in associazione al trattamento dei tessuti molli quali muscoli, tendini, capsula, oltre ad una valutazione del paziente a 360° con eventuali tecniche a livello del triangolo superiore (passaggio cervico-dorsale, dorsale alta, torace, mediastino…)

 

 

Quali sono le cause della capsulite adesiva della spalla?

La causa è dovuta ad una infiammazione della capsula, che non permette più il buon scorrimento dei due foglietti della capsula stessa, portando ad un’importante riduzione di movimento.

La capsulite adesiva è più frequente nel sesso femminile, in un’età compresa fra i 35 e i 50 anni e si associa spesso a malattie metaboliche (diabete o iper /ipotoroidismo); si pensa anche che possa essere collegata a problemi autoimmuni, ma ad oggi non si è ancora scoperto perché questa patologia colpisca alcune persone piuttosto che altre.

Quali sono i sintomi della capsulite adesiva della spalla?

Vengono descritte 3 fasi:

  • Nella prima fase, i movimenti dell’articolazione sono molto dolorosi, ma possibili, mentre il raggio dei movimenti si riduce gradualmente. Questa fase dura in media fra i due e i nove mesi.
  • La seconda fase può essere caratterizzata da una leggera riduzione del dolore, accompagnata da una notevole diminuzione del raggio di movimenti possibili, per un periodo fra i quattro e i nove mesi.
  • La fase successiva, detta di “scongelamento“, vede un nuovo ampliamento delle possibilità di movimento dell’articolazione, fino al recupero, che può essere totale o solo parziale. Questa fase può durare fra i sei mesi e i due anni.

 

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Il dolore cronico e l’osteopata

Il dolore cronico viene definito come una sensazione dolorosa che permane nel tempo per più di 6 mesi (oltre quindi il tempo previsto per la guarigione) e che provoca l’attivazione dei recettori del dolore (nocicettori) a causa del danno cellulare instauratosi.

Il dolore cronico rappresenta uno dei più diffusi e complessi problemi che interessano la salute della popolazione in termini di benessere fisico, psicologico, socio-economico, e ne influenza sensibilmente la qualità della vita.

Un buon numero di fattori gioca un ruolo fondamentale nell’esperienza del dolore cronico.

Potrebbe essere utile visualizzare questo modello per concettualizzare la natura complicata di questa condizione comune.

 

Tissue damage (Danno tissutale)

E’ semplicemente la lesione o il danno del tessuto che ha dato inizio al dolore. I tessuti danneggiati inviano delle informazioni al sistema nervoso (segnale del dolore) che vengono definite “input nocicettivo/nocicezione”.

Pain sensation (Sensazione di dolore)

La sensazione di dolore è la percezione effettiva che si verifica nel cervello dopo che il segnale nervoso partito dalla periferia viaggia verso il sistema nervoso centrale (cervello-midollo spinale). La sensazione di dolore viene elaborata a livello del cervello, mentre la nocicezione si verifica nel sito della lesione.

Thoughts (Pensieri)

I pensieri avvengono nei centri cerebrali superiori e non sono altro che una valutazione del segnale della sensazione di dolore che entra nel sistema nervoso e degli eventi che lo circondano. Questi pensieri possono essere consci o inconsci e influenzeranno notevolmente il modo in cui viene percepito il segnale del dolore. Per esempio, i dolori e la rigidità del corpo in generale sono percepiti come “buon dolore” quando questi si verificano dopo una sessione di allenamento vigorosa, mentre sono percepiti come “cattivo dolore” quando correlati a una condizione medica, come ad esempio la fibromialgia.

Emotions  (Emozioni)

L’aspetto emotivo del dolore è la risposta di una persona ai pensieri sul dolore. Se credi (pensieri) che il dolore sia una seria minaccia (ad esempio un tumore), le risposte emotive includeranno tra le altre cose paura, depressione e ansia. Al contrario, se ritieni che il dolore non sia una minaccia, la risposta emotiva sarà trascurabile.

Suffering  (Sofferenza)

Il termine “sofferenza” è spesso usato come sinonimo di “dolore” anche se sono teoricamente e concettualmente distinti. Ad esempio, un osso rotto può causare dolore senza sofferenza (poiché la persona sa che il dolore non è mortale e l’osso guarirà). Al contrario, il dolore osseo a causa di un tumore può causare lo stesso dolore di una rottura, ma la sofferenza sarà molto maggiore a causa del “significato” dietro al dolore (questo tumore potrebbe essere pericoloso per la vita). La sofferenza è strettamente legata all’aspetto emotivo del dolore.

Pain behaviors (Comportamenti dolorosi)

I comportamenti dolorosi sono definiti come le azioni che le persone fanno quando soffrono o hanno dolore. Si tratta di comportamenti che gli altri osservano come indicativi del dolore, come parlare del dolore, fare smorfie, zoppicare, muoversi lentamente e prendere farmaci. I comportamenti del dolore sono in risposta a tutti gli altri fattori prima elencati facenti parte del modello di dolore cronico (danno tissutale, sensazione di dolore, pensieri, emozioni e sofferenza). I comportamenti del dolore sono influenzati anche da precedenti esperienze di vita, aspettative e influenze culturali in termini di come il dolore viene espresso. È interessante notare che i comportamenti del dolore sono anche influenzati dall’ambiente esterno.

 

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